Domenica 2 febbraio un presidio solidale di un centinaio di persone ha interrotto la normalità e il silenzio che tengono in piedi il campo di deportazione a Ponte Galeria.
Durante il presidio alcuni reclusi hanno preso i tetti – unico modo per vedere e farsi vedere da un lager infossato in una palude e circondato da mura di 8 metri – e sono stati bloccati dalle guardie; poco dopo, una colonna di fumo nero è apparsa più volte nella sezione maschile.
Il presidio è stato un momento di denuncia grazie al coraggio dei e delle parenti di Moussa Balde e di Ousmane Sylla – uccisi dalla violenza dei CPR a Torino e Roma. La loro presenza, i loro interventi, le proteste dei reclusi nel CPR sono motivi in più per fare la nostra parte di lotta qui fuori.
Domenica 2 febbraio, quelle mura – sorvegliate, militarizzate, pensate per far scomparire – sono state abbattute dalla solidarietà e il coraggio delle persone reclusx. Con il cuore e lo sguardo rivolti a chi è rinchiusx a Ponte Galeria, a chi paga il prezzo della ribellione sulla propria pelle, a tutte le persone recluse in ogni prigione del mondo, il presidio si è sciolto al grido di FREEDOM – HURRIYA – LIBERTÀ.
DOMENICA 2 FEBBRAIO ORE 15:30 PRESIDIO DAVANTI ALLE MURA DEL CPR DI PONTE GALERIA
Torniamo lì, dove il ferro e il cemento segnano l’invisibilità di chi è reclusx per il solo fatto di esistere, per non essere natx nel luogo giusto. Torniamo davanti alle mura del CPR di Ponte Galeria per essere fianco a fianco di chi, dentro e fuori quelle mura, combatte ogni giorno contro l’annientamento che lo Stato infligge con il razzismo e l’esclusione.
Lo Stato sta affinando la sua guerra e lavora con nuovi strumenti per segregare, selezionare, controllare ed espellere. Il decreto Cutro trasforma ogni angolo della città in un potenziale campo di concentramento. Ogni stanzino di un edificio pubblico può diventare un temporaneo luogo di prigionia e tortura. Deve vincere l’isolamento per evitare che le persone si organizzino insieme, nelle rivolte e nelle evasioni. Ecco che il CPR di Gradisca d’Isonzo, come sta avvenendo nelle ultime settimane, ci parla di dignità, di una parte di popolazione che resiste e un’altra che opprime.
Il razzismo sistemico si riproduce ogni giorno. Ogni volo di linea è un luogo in cui può avvenire un’espulsione e ogni espulsione è questa società che si riproduce nel nome della sicurezza come strumento di propaganda.
Ogni operazione di polizia, ogni retata in quartiere o nelle campagne, è la propaganda del razzismo che si alimenta sulla vita delle persone: è la politica di questo governo, è la natura della sua democrazia.
Ogni zona rossa vuole essere una prigione sotto il cielo. Uno strumento pensato per legittimare sempre più l’uso della polizia e della sua violenza. Lo abbiamo visto a Corvetto, dove il quartiere è diventato una cassa di risonanza per giustificare gli abusi della polizia, ma nello stesso tempo grido di riscatto e coraggio. Dove ogni corpo, ogni volto, viene sottoposto alla violenza del razzismo e della conseguente criminalizzazione. Tutto per difendere la sicurezza dei ricchi di continuare a sfruttare, tutto per alimentare la guerra contro chi non ha diritto di esistere dove ha scelto di stare.
A Quarticciolo la guerra assume l’altra faccia della stessa medaglia. La polizia, le retate, i modelli Caivano, le deportazioni: una guerra che fa leva sull’umiliazione, sulla separazione, sull’esclusione. È la guerra dei governi, la guerra sulla pelle di chi non può essere altro che una merce da spostare, da annientare, da sottomettere.
A chi si ribella, a chi prova ad alzare la testa, lo Stato risponde con la sua violenza. La risposta è un corpo strappato via dalla vita, deportato in un lager legalizzato, pestato e torturato affinché non si ribelli, affinché non sia di esempio.
Vogliamo tornare là, davanti alle mura di Ponte Galeria, dove l’unica sezione femminile del Paese è chiusa in un angolo dimenticato posto ai confini della città.
Per sostenere le resistenze quotidiane di chi è reclusx, chi lotta ogni giorno per la propria libertà, per la propria dignità. Vogliamo tornare là per dire, ancora una volta, che non avranno il silenzio di cui necessitano le torture.
Hanno un solo nome: infami.
Vogliamo tornare davanti alle mura di Ponte Galeria, dove ogni giorno si riscrive la storia di chi rifiuta la prigione: nelle sezioni che prendono fuoco, nelle evasioni, nella dignità della vita in un sistema di morte.